giovedì 26 agosto 2010

Meditatio aestatis - IV

Sono davvero l’unico a notare la sottile pulsazione dei lampioni? Sono l’unico a sentire questo rumore di fondo, che sembra il rumore del niente ma no, non è il niente...? Sono l’unico a fissare quel punto della piazza dove l’asfalto è umettato dagli annaffiatori automatici, proprio quel punto, non un altro, quello? L’unico a spiare quel ragazzino tamarro che passa per la strada di fianco, con il ciuffo nero tirato su dal gel e la magliettina bianca stretta? L’unico a chiedersi se anche lui pensa a queste cose ogni tanto? A interrogarmi se alla fine, destrutturando un po’ il tutto, che va tanto di moda, anche lui, sotto quel ciuffo e quella magliettina, arriva alle mie stesse conclusioni, al mio senso di solitudine e di nichilismo, al senso del niente che permea alcune notti d’estate, come questa? A pensare che forse, a salvarmi, c’è solo questa mia supposta superiorità intellettuale? A concludere che poi, in fondo, è assolutamente inconsistente anche questa, davanti al lampione pulsante, al rumore di fondo, all’annaffiatore, al gel e a tutto il resto?
Sono le cose che vengono fuori nelle notti d’estate, di questa estate in particolare. Mi sovviene una frase del “Deserto dei Tartari”, parlava di solitudine, non necessariamente sentimentale, di solitudine e basta. Vado a prendere il libro da uno scaffale della mia camera, cerco la pagina. Dovrebbe essere verso i tre quarti. Mi pare fosse su una facciata a sinistra. Cerco con lo sguardo le parole chiave, “solitudine”, “dolore”, “uomini”… Altro che operatori booleani. Google a me mi fa una pippa. La trovo presto:­ “Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questi non si sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita”.
Questa sera non è quella solitudine struggente che a volte prende quelli senza nessuno accanto. Ha sempre a che fare con il dolore, la solitudine, la condizione umana, la vita e altre cose stupide alla Paulo Coelho, ma non è così pungente. È una cosa che nelle altre stagioni forse non capita. È la solitudine dell’estate, di notte. Quando una piccola piazza di provincia sembra qualcosa di vagamente alla De Chirico, la strada puzza di umidità recente, la luce artificiale copre quella naturale, e tutto quello che vorresti fare è condividere ciò con qualcuno. Ma non qualcuno a caso. Non il tamarro con gel e maglietta, sebbene in fondo in fondo tu sappia che ci arriva anche lui a queste cose, né prima di te per la sua semplicità, né dopo di te per la sua ignoranza.
Solo che lui non lo saprebbe scrivere su un diavolo di blog.

3 commenti:

  1. E questo , in fondo-in fondo-in fondo è già qualcosa, no?
    Sandra
    P.S.:
    Un bell'epitaffio quel brano di Buzzati. Così vero che il tenerlo a mente aiuta a sopravvivere. A volte anche a vivere.
    Malgrado Coelho [;0)]

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  2. Ho sempre pensato che il primo dolore dell'essere umano sono la solitudine e il senso di annientamento che questa ti provoca. Nel momento in cui nasce, il bimbo viene buttato fuori solo e in un mondo sconosciuto e sperimenta subito la sua condanna alla solitudine. Forse è vero che l'estate - in città - mette in particolare l'accento su questo aspetto della condizione umana, ma credo che la sensazione più forte e violenta la si possa provare nel momento in cui tu solo te ne vai con grande paura e senza sapere dove, mentre gli altri restano e continuano senza di te.

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