Stamattina ho seguito per
un paio d’ore il corteo di protesta degli studenti a Torino. Come per i
disordini dei giorni scorsi, anche in questo caso non c’era un’organizzazione precisa,
né un riconoscibile sostrato politico. Mi sono intrufolato fra i manifestanti
in piazza Castello, per capire chi fossero, e ho filmato i loro volti, le loro
discussioni e i loro slogan. Devo ammettere che il grado di civiltà di questi
ragazzi è stato molto alto. Insomma, nel peggiore dei casi erano lì per saltare
un giorno di scuola, non certo per assaltare vetrine o quant’altro. Sono molto
diversi dai quindicenni con cui ho manifestato in passato io, qui c’è una sorta
di pudore a parlare di partiti, ideologie: c’è molto spazio per i sentimenti e
per gli slogan, di stampo soprattutto calcistico. Per un momento l’Inno di
Mameli porta una ventata di destra (perché si, è triste, ma il nostro [bruttissimo]
inno ha sempre paventato derive calcistico-nazionaliste), ma nel complesso
prevale il qualunquismo. Qualunquismo, beninteso, molto più giustificato qui che
fra “forconi”, scontenti e fascistelli dei giorni passati. Mi stupisco di un
paio di bandiere della Pace.
Polizia, Carabinieri e
Vigili urbani non fanno stronzate, sono attenti e cauti, e del resto i
manifestanti non fanno mai niente di avventato. Sono teneri i capigruppo (probabilmente
destrorsi, date le pelate e i bomberini) nella loro disorganizzazione, nel
richiamare continuamente i ragazzi dietro gli striscioni, nel cambiare idea
ogni 5 minuti sul percorso.
Disgusta pensare che
anche dietro questo incontro, probabilmente, si celano le viscide spire di
qualche squadrista di periferia; perché in fondo dietro quei giubbottini
tamarri, quei tagli di capelli inguardabili, quella house di terza scelta dai
cellulari, quei “minchia zio” e “bella fratè”, c’è tutto il diritto di avere
paura per il proprio futuro e tutta la legittimità a manifestarlo ingenuamente,
anche solo marinando la scuola per un giorno e saltellando al suono di “chi non
salta del governo è”…