venerdì 13 agosto 2010

Meditatio aestatis - III

Arezzo, dall’alto della sua spocchia rinascimental-cultural-enogastonomica forse non era pronta al suo arrivo. O forse era fin troppo avvezza a giochetti mediatici di quel tipo. In ogni caso è stata una cosa strana.
In un’abitazione di mattoni bruniti – chissà se era stato quello il colore originale – a due passi dalla fortezza medicea e dalla cattedrale, qualche secolo prima era nato Francesco Petrarca e lì aveva vissuto i suoi primissimi anni. Non dico che vi abbia meditato qualche verso (subito seguì il padre in esilio, e si mosse da intellettuale errabondo per tutta la vita), ma una parte del suo genio umanista deve giacere non lontano, se non altro nell’effimera forma di Genius loci. Meno di un secolo prima, la fama della città era stata legata al nome di Guittone, rimatore tanto vituperato quanto, nella sostanza dei fatti, imitato da Dante. Pietro Aretino, come si evince dal nome, deve aver in qualche misura forgiato la sua aguzza lingua di satiro non lontano da qui. Sul Vasari non mi dilungo, ché non è mia competenza, ma il nome dovrebbe bastare a confermarne l’autorevolezza.
Io sono stato conquistato, soggiogato, dai bugnati semplici ed eleganti, dalle torri svettanti, dalle mura slanciate, dalle piazze lastricate in discesa, dal campanile della Pieve di Santa Maria, dagli affreschi mozzafiato della cattedrale, dalle vinerie piene di giovani e turisti (tedeschi, ahimè) e crostini fumanti e chianti pastosi e pappardelle ruvide e sguardi di donna castana gorgia toscana zolfini poesie sandali pergolati alberghetti dove fare l’amore vicoli cantucci odore di collina polvere da sparo alabarde santi reliquie monachelle studenti seni caviglie brunello di montalcino “Or vedi, Amor, che giovenetta donna tuo regno sprezzo, et del mio mal non cura, et tra duo ta’ nemici è sì secura”…
Tutto questo prima di vederlo. Era una strafottente cazzo di faccia di cazzo già attraverso lo schermo del cazzo. Uno di quegli abietti esseri che, porca miseria, mi vergogno pure di citare, perché la mia lingua mitopoietica è atta a poetare e a fare sesso orale, non certo a gettare legna nel putrido focolare della fama di questa merda d’uomo. Ma l’evento è stato troppo perturbante per non raccontarlo.
Cosa mi è piaciuto fino all’orgasmo di Arezzo già l’ho detto. Ma la situazione era ancora più idilliaca. Ero seduto in piazza Vitruvio, le spalle al porticato profumato di collina, lo sguardo rivolto all’arcata dei palazzi centenari, alti, bruniti, tenuti su dal cielo blu-di-prussia come da un incanto o da un gancio invisibile fatto di ombre estive; alla mia destra la pieve di Santa Maria, illuminata da faretti giallognoli, faceva da contrappeso al naturale declivio che piegava verso sinistra la piazza, in discesa. Davanti a me un chianti dei colli aretini, rubino, leggero, caldo, che istintivamente (manco fossi un Proust qualsiasi) mi trascinò nel ricordo di una Siena di un anno e mezzo fa – una Siena che per me era tutta la Toscana, tutta l’Italia, il mondo intero che turbinava di sesso di amore di quadri del ‘400 e poesie biascicate fra un bicchiere e l’altro –; al tavolo a fianco, una sorta di Mezzabotta sorrideva pacato mentre portava elegantemente alla bocca una tagliatella al ragù di lepre, e la sua ragazza più giovane di venti anni almeno, un po’ svogliata, leggeva un libro in francese; dalla cattedrale, di tanto in tanto, giungevano gli echi dei botti della festa del santo patrono.
Poi una sgommata, che attirò forse a se l’ira del Genius loci petrarchesco. Flash di macchine fotografiche. Tanta gente intorno, vicino, la sentivo, mi passava di fianco, quasi addosso. Un urletto. Forse la piazza se ne accorse, Arezzo se ne accorse e si lasciò andare, come una baldracca che ormai non si trucca neanche più, una puttana che di colpo si accorge di avere tanti anni o secoli e al primo passaggio di una giovincella si fa da parte, si ritira, si nasconde.
Fabrizio Corona apparve così, in questo turbinio di decadenza, a metà fra l’antipasto e il primo, subito prima del brunello e subito dopo l’ormai noto chianti. La maglietta bianca aderente, per esaltare il disgustoso turgido convenzionale muscoletto, i tatuaggi tanti e brutti e neri, la cazzo di espressione strafottente. Passò davanti a me aspettandosi, non so, un cenno, un riconoscimento, un biasimo, insomma, una cazzo di reazione, non da me magari, dal mio tavolo, dal tavolo accanto, dalla ragazza di Mezzabotta, eppure niente, da noi niente. Così si riversò su un gruppo di ragazzotti male usciti, poi si gettò fra le braccia dell’oste, dello stesso affabile oste che poco prima mi aveva porto i miei crostini toscani ai fegatini e quelli semplici all’olio, e un assaggio di pappa al pomodoro e uno di panzanella (alla faccia della cazzo di dieta anti-carboidrati), e lui lo accoglie, lo coccola, gli dà un bel tavolo, non il migliore, non il peggiore, un bel tavolo, in vista, non troppo, se vuoi vederlo devi entrare e magari consumare. Non so se il pusillanime stronzo Corona percepisca qualcosa in denaro, ma se ben avesse solo un bicchiere di vino in cambio della sua faccetta sporca, sarebbe un turpe mercimonio. È basso e banale e ha una voce molle e disonesta, l’ho sentita a lungo, oh se l’ho sentita dal mio tavolo, per tutta la sera, o per meglio dire per tutti e venti i minuti prima di scappare dal luogo infettato. Parlò di cose inutili, non di cose scandalose né di cose morbose, parlò di una Carla e di un Jo, ombre su cui i ragazzotti di cui sopra proiettavano profili di personaggi famosi attingendo dal loro demoniaco archivio di personaggi da copertina.
Io mi chiedo ancora cosa centri lui con la mia Toscana, coi miei ricordi d’amore e di sesso e di vino, col mio umanesimo spocchioso e arrogante. Non so, sarà il mio snobismo fuori luogo, sarà la consueta voglia di darsi un tono, per forza, su tutti e contro tutto. Ma proprio, cazzo, fra i tanti personaggi un po’ famosi, lui. Non Umberto Eco, Luciano de Crescenzo, Corrado Guzzanti. Lui. A infettare questo piccolo, personalissimo, superbo angolo di spazio-tempo.

5 commenti:

  1. Terza parte. Ovvero "La sfiga non demorde".

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  2. Grazie mille, un tuo giudizio è preziosissimo...lo capisco dalle cose che scrivi qui =)
    Un saluto!

    Anto - Poeta Notturno

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  3. ma come fa un ragazzo giovane come te a sapere tutte queste cose di arte e lingue morte e passioni e Eros ? bello questo pezzo, capisco e condivido l'orgasmo ad Arezzo ( meno male che non hai scritto in latino se no perdevo metà dei significati).
    Mi spiace per il tuo incontro con Fabrizio Corona ma poteva andarti peggio.
    Io sono stata più fortunata: a Lucca incontrai Perez de Cueillar, a Trieste Claudio Magris.Pure Enrico Lucci ad Urbino.
    E comunque non perdere la testa per la Toscana: pensa che a Montalcino alcuni agriturismo non accettano famiglie con bambini e cani, perchè entrambi i generi disturberebbero la quiete dei loro facoltosi ospiti.

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  4. Per arte e lingue morte... bè, studio Lettere, quindi unisco l'utile al dilettevole!
    Si, sei stata decisamente più fortunata con gli incontri, spero di rifarmi!
    Per quanto riguarda la Toscana, da un certo punto di vista spero di non andarci mai a vivere, perderebbe questa "esclusività" romantica che si è costruita nella mia testa...

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  5. Queste cose accadono perchè... figuriamoci se può andare tutto alla grande!Ma non ti arrabbiare troppo, pensa se al tavolo vicino al vostro c'era Lele Mora in infradito e completino bianco!!!
    Rimani innamorato della Toscana, è magica, ma sbrigati a conoscerla tutta perchè i tremendi passi indietro dell'umanità stanno contribuendo a modificarla sino a cancellarne parti storiche.
    Sono una fiorentina fuggita da Firenze per rifugiarmi fra le montagne della Valle D'Aosta, ma non mi dare della matta, Firenze è straordinaria da visitare, ma viverci è un altro conto...

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