giovedì 5 agosto 2010

Iudicium - "Sono all'osso" (Pan del Diavolo)


Ponte o non ponte, La Tempesta (alias Toffolo & company) stavolta ha addirittura attraversato lo stretto, per la sua folle e personalissima crociata in difesa del rock targato Italia. Siculi sono infatti Pietro Alessandro Alosi e Gianluca Bartolo, in arte Il Pan del Diavolo, che con il loro “Sono all’osso” si schierano fra le fila di Tre Allegri Ragazzi Morti, Luci della Centrale Elettrica, Zen Circus e compagnia bella.
Il disco, sulla scia dell’EP d’esordio, suona grasso e genuino, diretto ed esplosivo, penalizzato solo da una produzione un po’ troppo raffinata: ma spacca lo stesso, e lo fa solo con un paio di chitarre acustiche, una grancassa, e un piglio vagamente punk à la Violent Femmes.
Si comincia col blues-country-punk-vattelapesca di “Farà cadere lei”, in bilico fra voci urlanti e stacchi da delta del Mississipi (o è qualcosa di Siculo…?); “Pertanto”, invece, è un più scanzonato episodio di schizofrenia (“voglio fare tutto, ma tutto non si può fare [...], quindi faccio quello che mi pare”) in puro stile iu-es-ei; meravigliosa e grottesca, “Il centauro” ci porta in un ambiente (periferia? Squallida provincia?), fra il goliardico e l’osceno, immerso in un blues lento e cadenzato; con “Università”, ossia il disilluso canto di un giovane studente come tanti (e come me), si vira verso un folk più italico e personale, senza perdere in impatto e orecchiabilità; poi c’è “Blu Laguna”, ancora un pezzo al fulmicotone, fra il rock’n’roll dei primi Hormonauts e il sempiterno Buscaglione, ricco di suggestioni elvisiane e con un taglio narrativo che ricorda il Paolo Conte di “Boogie”; “Bomba nel cuore” vede la collaborazione degli Zen Circus, che con il loro apporto elettrico ci regalano un incendiario e brevissimo saggio di punk nostrano; il ritmo rallenta, e con “il boom” il duo palermitano si addentra ancora una volta nel country desertico americano, tentando un songwriting meno dirompente ma altrettanto interessante; testo bellissimo per “Il mistero dello specchio rotto” (“sarebbe stata pure l’ora, sotto la gonna ci si consola”), che riprende un po’ velocità ma soprattutto scopre un originale ritmo folk tutto meridionale; “sono all’osso” tradisce l’assioma secondo cui la title-track deve essere radiofonica o quantomeno prevedibile: accenni noise e testo irruento fanno di questo brano uno dei più originali dell’album; “Africa” convince soprattutto per il testo più disteso e malinconico; “Ciriaco” non spicca per originalità musicale, ma il testo ha alcune belle trovate (“voglio essere ricordato come cattivo”); “Scarpette a punta” riscopre il lato fiabesco della tradizione popolare, accompagnato da un inquieto e allo stesso tempo conciliante arpeggio di chitarra.
Insomma, l’ispirazione è tanta e sfaccettata. Ce n’è per tutti i gusti, ed è questa la carta vincente di Il Pan del Diavolo; certo, il livello non è sempre lo stesso, e forse una diversa distribuzione dei pezzi avrebbe reso il tutto più equilibrato.
Ma, tutto sommato, in culo all’equilibrio! I primi sei pezzi sono una manganellata fra le costole, da ascoltare tutti d’un fiato, poco importa del resto. È impressionante come due chitarre e una grancassa possano più di crash e big muff vari, quando sono in mani genuine e smaliziate come quelli di Il Pan del Diavolo.

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