Vi avevo promesso un consiglio cinematografico. In realtà avrei voluto fare una dettagliata recensione dei primi tre film di Truffaut. Purtroppo la pigrizia gioca brutti scherzi, quindi eccomi qui a scrivervi giusto due cosine a riguardo. In apertura, ascoltatevi la canzone qui sopra, è di un (da me amatissimo) gruppo di Torino, i Verlaine. Qui la loro pagina su Rockit, dove potete ascoltare tutto il loro album. Ebbene, proprio l'ascolto del suddetto pezzo mi ha fatto venire voglia di affrontare, in ordine cronologico e in lingua ufficiale, tutta la filmografia di Truffaut. E, di tanto in tanto, vi scriverò come procede l'impresa.
Il nome di Truffaut è legato alla Nouvelle Vague, ma è piuttosto lontano dagli sperimentalismi e dall'originalità, per esempio, di un Godard. Truffat è soprattutto un gran narratore, che sa scrivere storie e costruire personaggi (che in un caso travalicano addirittura i limiti del singolo film), ne narra disgrazie e gioie (soprattutto le prime, sia chiaro, e lo ringraziamo per questo), ne eviscera i caratteri.
Les quatre-cents coups (I quattrocento colpi, 1959) ci porta nel mondo dell'infanzia, che poi è un po' il mondo della poesia, di quella poesia della piccole cose, dei ricordi, delle esperienze. Un'infanzia non facile, conflittuale, che ci mette da subito in contrasto col mondo, coi genitori, con le regole stesse del vivere civile; il piccolo Antoine vorrebbe godersi la vita, per quel poco che può, ma si scontra con la realtà, che impone, reprime, ordina. Ma questo tema, che un altro registra avrebbe trattato con pesantezza, amarezza e angoscia, viene affrontato da Truffaut con una leggerezza, un'evanescenza, un'innocenza davvero poetica (nel senso più prosaico - scusate il gioco di parole - del termine), quasi a voler dire che è con gli occhi di Antoine, del bambino, che bisogna guardare alla vita, che bisogna sfidare il mondo e la società, non con la malizia e col senso di sconfitta degli adulti. Un film davvero delicato, nonostante, nel finale, le tematiche siano tutt'altro che facili e leggere, a metà strada fra fantasia e biografia, una biografia forse che appartiene un po' a tutti, almeno a livello spirituale.
Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960) è forse il film più particolare di questo primo periodo. Formalmente è un noir, si rifà palesemente al cinema americano di qualche decennio prima, ma con una gran carica di originalità e personalità. Charlie (interpretato da Charles Aznavour) fa il pianista in un locale e, tirato dentro dai suoi fratelli ladri, finisce in una faccenda di soldi, pallottole e rapimenti. Fin qui tutto normale, ma la novità di Truffaut sta nell'inserire, all'interno del classicissimo plot, una serie di elementi piuttosto decentrati: lunghi flashback sulla carriera da musicista di Charlie e sul suo primo matrimonio, lunghi monologhi su come approcciare la bella di turno, dialoghi surreali fra gangster dal cuore tenero (come Tarantino, trent'anni prima di Tarantino), intermezzi musicali completamente gratuiti... Insomma, un gioco cinematografico, che per un istante lascia da parte il piglio biografico ed esistenziale, ma non abbandona la poetica delle piccole cose e dei sentimenti.
Jules e Jim (1961) è ambientato nei primi del '900: è la storia di una grande amicizia, fra i due artisti-scrittori-bohemienne Jules e Jim, e del loro rapporto con Catherine (interpretata dalla bellissima J. Moreau), donna emancipata e decisamente "anni '60". Una triangolo amoroso, quindi, che all'epoca fece scandalo, ma che non può non dirsi assolutamente romantico e sentito, vitale, mai piatto e monotono, ma passionale, intenso, altalenante, in una parola, vero. Tre persone che, un secolo fa (all'epoca mezzo secolo fa), decidono di vivere secondo il corpo e non secondo le regole, seguendo l'arte e non la società. Fantastico il montaggio, fatto di vecchi filmati di repertorio, scene spesso giustapposte o parallele, tutto unito da una voce narrante e un'onnipresente attenzione formale alle inquadrature, soprattutto quelle ai piccoli gesti e oggetti quotidiani. Questi ultimi due elementi, in particolare, danno al prodotto un'aria fiabesca, trasognata, romantica, la stessa che, molti anni dopo, ritroviamo in Le fabuleux destin d'Amélie Poulain (Il favoloso mondo di Amélie, 2001) di Jeunet, che deve davvero tanto a Jules e Jim.
Guardare per credere.
Il nome di Truffaut è legato alla Nouvelle Vague, ma è piuttosto lontano dagli sperimentalismi e dall'originalità, per esempio, di un Godard. Truffat è soprattutto un gran narratore, che sa scrivere storie e costruire personaggi (che in un caso travalicano addirittura i limiti del singolo film), ne narra disgrazie e gioie (soprattutto le prime, sia chiaro, e lo ringraziamo per questo), ne eviscera i caratteri.
Les quatre-cents coups (I quattrocento colpi, 1959) ci porta nel mondo dell'infanzia, che poi è un po' il mondo della poesia, di quella poesia della piccole cose, dei ricordi, delle esperienze. Un'infanzia non facile, conflittuale, che ci mette da subito in contrasto col mondo, coi genitori, con le regole stesse del vivere civile; il piccolo Antoine vorrebbe godersi la vita, per quel poco che può, ma si scontra con la realtà, che impone, reprime, ordina. Ma questo tema, che un altro registra avrebbe trattato con pesantezza, amarezza e angoscia, viene affrontato da Truffaut con una leggerezza, un'evanescenza, un'innocenza davvero poetica (nel senso più prosaico - scusate il gioco di parole - del termine), quasi a voler dire che è con gli occhi di Antoine, del bambino, che bisogna guardare alla vita, che bisogna sfidare il mondo e la società, non con la malizia e col senso di sconfitta degli adulti. Un film davvero delicato, nonostante, nel finale, le tematiche siano tutt'altro che facili e leggere, a metà strada fra fantasia e biografia, una biografia forse che appartiene un po' a tutti, almeno a livello spirituale.
Tirez sur le pianiste (Tirate sul pianista, 1960) è forse il film più particolare di questo primo periodo. Formalmente è un noir, si rifà palesemente al cinema americano di qualche decennio prima, ma con una gran carica di originalità e personalità. Charlie (interpretato da Charles Aznavour) fa il pianista in un locale e, tirato dentro dai suoi fratelli ladri, finisce in una faccenda di soldi, pallottole e rapimenti. Fin qui tutto normale, ma la novità di Truffaut sta nell'inserire, all'interno del classicissimo plot, una serie di elementi piuttosto decentrati: lunghi flashback sulla carriera da musicista di Charlie e sul suo primo matrimonio, lunghi monologhi su come approcciare la bella di turno, dialoghi surreali fra gangster dal cuore tenero (come Tarantino, trent'anni prima di Tarantino), intermezzi musicali completamente gratuiti... Insomma, un gioco cinematografico, che per un istante lascia da parte il piglio biografico ed esistenziale, ma non abbandona la poetica delle piccole cose e dei sentimenti.
Jules e Jim (1961) è ambientato nei primi del '900: è la storia di una grande amicizia, fra i due artisti-scrittori-bohemienne Jules e Jim, e del loro rapporto con Catherine (interpretata dalla bellissima J. Moreau), donna emancipata e decisamente "anni '60". Una triangolo amoroso, quindi, che all'epoca fece scandalo, ma che non può non dirsi assolutamente romantico e sentito, vitale, mai piatto e monotono, ma passionale, intenso, altalenante, in una parola, vero. Tre persone che, un secolo fa (all'epoca mezzo secolo fa), decidono di vivere secondo il corpo e non secondo le regole, seguendo l'arte e non la società. Fantastico il montaggio, fatto di vecchi filmati di repertorio, scene spesso giustapposte o parallele, tutto unito da una voce narrante e un'onnipresente attenzione formale alle inquadrature, soprattutto quelle ai piccoli gesti e oggetti quotidiani. Questi ultimi due elementi, in particolare, danno al prodotto un'aria fiabesca, trasognata, romantica, la stessa che, molti anni dopo, ritroviamo in Le fabuleux destin d'Amélie Poulain (Il favoloso mondo di Amélie, 2001) di Jeunet, che deve davvero tanto a Jules e Jim.
Guardare per credere.