venerdì 14 ottobre 2011

Narratio - "Le solitudini di Arnaut" II


Guy sapeva essere davvero un bastardo. Cosa che in effetti era, perché suo padre non era Louis diacono, come lui diceva, ma un bottaio piuttosto celebre fra la plebe per le sue doti amatorie. Lo sapevano tutti, solo lui no. O forse lo sapeva e faceva finta di nulla. Disprezzava profondamente Arnaut e i suoi stupidi studi logici. Lo sopportava soltanto perché suo padre – quello finto – glielo aveva imposto, arrivando a minacciarlo di cacciarlo di casa qualora non lo avesse fatto. Louis era un vecchio placido e profondamente curioso. Nonostante avesse sempre vissuto a contatto con sacerdoti e vescovi, non vedeva di cattivo occhio queste nuove congreghe di studenti e insegnanti. Pensava spesso al fatto che avrebbe voluto fare anche lui una cosa così, se ai suoi tempi fosse esistita. E per questo aveva deciso di ospitare a casa sua, per quello che poteva, Arnaut. Oddio, non gli piaceva proprio quando tornava a casa ubriaco o malmenato, o quando si lasciava andare nei suoi ludibri (una volta aveva trovato un fazzoletto profumato vicino al suo giaciglio, sicuramente di qualche lasciva sgualdrina), ma cercava di chiudere un occhio.
Sapeva benissimo che Guy non era suo figlio. Ma lasciava correre, anche questo. La povera moglie aveva già consumato il peccato quando Louis la conobbe e la sposò. Sicché decise di non sollevare scandali, perché nel mentre lui era entrato nelle grazie del capitolo della cattedrale e non poteva giocarsi tutto così.
Guy era intollerante e crudele. Studiava coi canonici della cattedrale e aveva intenzione di prendere il sacerdozio, di fare carriera, magari di diventare vescovo. La dilezione verso il Signore per lui era tutto, ma la esercitava con una sottile morbosità. Odiava Arnaut, abbiamo detto, odiava il suo modo di passare le notti, il fatto che venisse sempre perdonato, che in quel mondo malato e a testa in giù quel pulcioso vagante poteva diventare davvero qualcuno.
- Così le studi tu, le scritture? -, disse un pomeriggio Guy ad Arnaut con spocchia e asperità.
- Perdonami, così come? -, replicò il chierico, un po’ infastidito.
- Per terra, sulla sozza paglia, diavolaccio che non sei altro!
- Lo spazio è quello che è.
- Serpe. Irriconoscente come un giudeo. Vieni accolto, amato e riverito e osi lamentarti che non abbiamo tavoli da darti?!
- Non volevo dire questo.
- Ebbene l’hai detto -, sentenziò Guy con una smorfia sul viso, per poi voltarsi e uscire con alterigia.
Arnaut si sentiva solo in quella casa. Louis era un buon uomo, ma in fondo era un vecchio che non capiva un granché di come andassero le cose nel mondo. Era ospite, si sarebbe strappato il cuore per riconoscenza verso quella famiglia, ma ormai era un mese e mezzo che dormiva sulla paglia, nell’angolo più freddo della casa. Era solo, solissimo, sradicato. Come Giobbe. A volte si sentiva abbandonato dal Signore, ma sapeva che erano prove. Così stringeva i denti e studiava, si uccideva di studio, faceva lavorare il cuore, le dita, la testa, memorizzava le parole e i concetti, mormorava preghiere e recitava gli Autori, ricopiava le glosse dei suoi maestri. Nel mondo della conoscenza tutto era bello e cristallino. Era il secolo che lo metteva a disagio, ma le Scritture e i filosofi e Virgilio erano un mondo fatto di tutti i padri, gli amici, i fratelli che non aveva mai avuto. Così studiava e studiava e studiava, di notte, consumava lumi e occhi, da solo, nel suo giaciglio. Di giorno non ci pensava troppo, perché i maestri erano i suoi compagni in quei campi Elisi; di notte era solo in quel terribile e meraviglioso viaggio.
E studiava, al freddo, sulla paglia, da solo.

2 commenti:

  1. Però è ben strano questo solingo Arnaut, forse Guy ha ragione a non sopportarlo... anche se lui stesso non è di certo un simpaticone.

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