sabato 25 giugno 2011

Meditatio aestatis novae I - Silentium



Tributerei grande gratitudine, massimi onori, imperitura memoria a chiunque inventasse un segno grafico per indicare il silenzio. No, il punto (.) non indica silenzio, indica una pausa dopo che si è parlato e in attesa che si parli ancora. Neanche il rigo bianco, quello si salta, non si fissa in silenzio. Nemmeno i puntini di sospensione (… [e ricordate, sono sempre e solo tre i puntini {perché poi “puntini”? Sono forse più piccoli dei punti?}, che orrore quando si vedono questi accumuli di macchiette imploranti ai piedi delle lettere…]) lo rappresentano; alludono più, appunto, a una sospensione, a un indugio, a un sospiro.
Il silenzio è altro e non è, evidentemente, simbolicizzabile.
È, al contrario di quanto si pensi, altamente stimolante, allusivo, percepibile, palpabile. Il silenzio ti entra dentro e si impossessa delle tue facoltà, le acuisce, le alleggerisce. Non è simbolicizzabile, ma non è nemico della parola. Anzi. I migliori momenti di silenzio della mia breve vita sono stati in compagnia delle parole. Il contrario del silenzio è il rumore, non è la parola. Il silenzio in realtà sa essere molto eloquente. Rafforza i sensi, anche il quinto e mezzo, quello di Dylan Dog, anche il sesto, quello di Bruce Willis, anche il settimo, quello di Pegasus e amici. Il silenzio non giudica ed è amico perfetto, ascolta e annuisce, in silenzio, è ovvio. Non dà consigli avventati. Non parla mai di cose di cui non ci capisce un cazzo.
Il silenzio non è che non possa convivere con certi suoni. Devono essere suoni fissi o ciclici, le fronde degli alberi, le onde sugli scogli, le cosce che fremono. La natura quando parla, lo fa nel silenzio. L’orgasmo vero è quello del silenzio successivo all’orgasmo canonico. Il silenzio, poi, nasce a ben vedere dal rumore. Quando suono in saletta o ai concerti, per mezz’ora ho le orecchie che sibilano. È il silenzio che reclama il mio cervello.
C’era quel proverbio o indovinello o insegnamento Zen o Tao o Buddista. Vabbè, non so cosa fosse, era un aneddoto carino. Il maestro chiede al suo allievo: “Un albero che cade in una foresta deserta, senza nessuno che possa sentire: fa rumore?” Probabilmente “fa” silenzio, o almeno me lo immagino così. Prima di Kant, forme a priori, rivoluzioni gnoseologiche varie, un monaco zen-tao-buddista aveva già capito diverse cose a riguardo. Anche noi occidentali qualcosa l’avevamo inteso, ma già conoscerete le storielle pitagoriche sul suono delle sfere celesti che, nella sua perfezione, genera quello che per noi è il suono più armonioso, il silenzio.
Ma non scomodiamo i massimi sistemi. Il silenzio è una cosa così intima e quotidiana che a volte passa sotto… silenzio. Chessò. Io e mio padre passiamo ore a fare bellissimi discorsi senza parlare. E ci capiamo e sorridiamo. La notte voglio sempre addormentarmi per ultimo, a casa, per “sentire” l’atavico vuoto acustico.
Insomma, eremiti di tutto il mondo, unitevi. Ribellatevi. State zitti e pretendete il silenzio.

3 commenti:

  1. Tante volte ho parlato in silenzio e di silenzio...
    Simon e Garfunkel ce lo hanno insegnato...
    Il silenzio è una parte intima che conosciamo in pochi, il nostro silenzio è il momento migliore con noi stessi...in silenzio mi piace contemplare me stessa, mi piace contemplare la gente...mi piace osservare un foglia che cade in autunno...e la natura, la natura sì, è colei che in silenzio genera mostri (in senso positivo ovvio).
    Amo il silenzio...sono sempre stata del parere che quando con una persona raggiungi il silenzio e con esso riesci a parlare, hai raggiunto una perfezione incredibile, con te stessa e con lui/lei/loro.
    La notte è colei che più riesce a far si che questo silenzio si faccia vivo...
    è splendido sì...the sound of silence..

    p.s.
    lui e lei si adagiano sì...stanno raggiungendo, lentamente il loro silenzio.

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  2. giusto, concordo in tutto e per tutto. Il suono del silenzio.

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  3. Concordo, il suono del silenzio è bellissimo.

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